Quest’aula si trova in posizione centrale rispetto ai due coevi Chiostri bramanteschi, costituendo il naturale prolungamento del lato che questi hanno in comune. Qui era posto, secondo il progetto di Bramante, il refettorio dei monaci. La volta a botte unghiata e le decorazioni di impianto rinascimentale (fig. 20) che ancora oggi possiamo ammirare sulla parete di fondo e sulla volta, risalgono al periodo di questa prima funzione insieme di convivio e rappresentanza di una delle realtà conventuali più importanti della città di Milano. Rispetto a com’è oggi, il refettorio benedettino appariva scandito in lunghezza da lesene doriche scanalate, mentre la decorazione della volta si estendeva alle lunette in cui erano presenti tondi figurati: al di sopra dell’affresco con le Nozze di Cana vi era Davide in atto di suonare l’arpa affiancato da due serafini, e lungo le pareti i busti degli apostoli.
Fu l’architetto Giovanni Muzio, nell’ambito del più ampio progetto di recupero degli ambienti dell’antico monastero, a restituire importanza all’antico refettorio dei monaci. In età napoleonica, come poi durante la prima guerra mondiale, l’intero convento era stato adibito a ospedale militare ed il refettorio era stato suddiviso in quattro piani d’altezza per far spazio a stanze di ricovero per i malati. L’intervento di Muzio (1927-34), rifattosi alle incisioni del Cassina del 1846, riportò questo spazio all’unità iniziale. Perdute le lunette perimetrali con gli apostoli e le lesene doriche scanalate, l’architetto inserì al loro posto dei peducci come punti d’appoggio tra la volta e la muratura e sopra di essi dei tiranti metallici per mettere in sicurezza l’aula. Negli intervalli delle lunette sui muri longitudinali, mantenendo lo stesso ritmo, collocò delle finestre più larghe e basse delle originali. In corrispondenza dei peducci Muzio progettò e realizzò in metallo dorato una serie di lampade a torcia, avvolte da un nastro.
Sulla parete di testa l’architetto ricollocò nel 1933 le Nozze di Cana dipinte da Callisto Piazza, opera spostata nel 1845 quando il monastero divenne un ospedale militare e qui riportata dal palazzo di Brera dove aveva trovato ricovero.
Nella parete opposta a quella di accesso, Muzio decise di aprire tre arcate appoggiate a due colonne e due lesene che conducono ad una balconata esterna all’aula. Per garantire una migliore acustica applicò un’alta zoccolatura a riquadri, che correva tutto attorno all’aula e che serviva anche da cornice marcapiano. L’intervento di Muzio prevedeva anche una tribuna riservata alle autorità, poi eliminata con i lavori di ristrutturazione degli anni Novanta, separando così gli spazi in una platea e una gradinata. Le scale della gradinata erano di legno e portavano dal piano terra al primo piano seguendo l’andamento della volta. Queste furono modificate negli anni Sessanta, quando furono sostituite con un’unica scalinata direttamente collegata all’ingresso. Tra la platea e la tribuna, come disimpegno, Muzio realizzò un corridoio a vetri per mettere in stretta relazione l’Aula Magna con il Giardino di Santa Caterina.
I più recenti restauri di Luciano Formica hanno conferito maggiore leggibilità all’intero complesso decorativo rivelato da Muzio, consentendo il recupero di alcuni volti di Serafini siti nelle lunette dalle quali erano stati staccati gli apostoli.
Un ordine geometrico composto di fasce, spazi triangolari e medaglioni detta ora l’impianto decorativo (figg. 21-22). I medaglioni, di minori dimensioni nella zona centrale della volta, si fanno più grandi nei pennacchi e vengono sorretti da bronzei angeli monocromi. Sia i clipei che i due triangoli in cui è divisa ciascuna volta unghiata contengono effigi di animali mitologici dalla doppia natura come tritoni e centauri-dragoni, anch’essi bronzei, colto riferimento a significati simbolici di stampo cristologico.
È probabile che ispiratore del programma iconografico sia stato Pacifico Bizzozero uno dei dotti abati del monastero che fu, nella prima metà del Cinquecento, priore per sette volte. La decorazione della volta (figg. 23-24) è databile, seguendo un criterio stilistico, agli anni Venti o Trenta del Cinquecento e segue l’onda delle decorazioni “a grottesche” molto diffuse in seguito alla riscoperta della Domus Aurea a Roma.
Sulla parete di fronte è infine posto il suddetto capolavoro di Callisto Piazza, l’affresco parietale ispirato alle Nozze di Cana che il pittore lodigiano dipinse nel 1545. Nell’affresco il pittore, coadiuvato dalla bottega, ha compiuto un’operazione di grande impegno figurativo, rinnovando molti aspetti iconografici della scena e conferendole una solenne teatralità, prospetticamente impegnativa e carica di ‘moti’. La maggiore novità della soluzione compositiva di Callisto è data proprio dal tentativo di formulare un linguaggio “universale” il più comunicativo possibile. Il coinvolgimento dell’artista lodigiano si inserisce nel clima di rinnovamento della Milano spagnola, orientata verso pittori come Tiziano, Paris Bordon, Moretto e Gaudenzio Ferrari ed è contemporaneo agli interventi decorativi nelle cappelle meridionali della basilica di Sant’Ambrogio.
Curiosità
Nel 1500 il tema delle nozze di Cana si diffuse prevalentemente tra i conventi veneti. Il soggetto ebbe l’influenza del pensiero di San Bernardo: il miracolo di Cana insegna che il banchetto di Cana è immagine di quello celeste a cui tutti siamo chiamati. L’intercessione di Maria è determinante per presentare a Cristo i bisogni dell’uomo e ad essa deve seguire l’azione personale di cui è simbolo il riempimento delle sei giare d’acqua.
Approfondimenti
Callisto Piazza (Lodi 1500-1561) fu il maggior esponente della dinastia Piazza, pittori del 1500. Dal 1523 lavorò a Brescia con artisti come Ugoni, Merici, Romanino e Moretto. Tra le sue prime opere dimostra conoscenza dell’arte ferrarese. Dopo il 1538 si spostò a Milano dove affrescò una sala del Castello Sforzesco; lavorò poi a Novara e all’Abbazia di Chiaravalle.
Aula Magna - eng
This room is situated between two coeval cloisters by Bramante, creating a natural extension of their common side. According to Bramante’s project, the monks’ Refectory was situated here. The lunule-shaped arched vault and the Renaissance decorations (fig. 20), that we can still admire today on the back wall and on the vault, date back to the period of this first function, both convivial and representative, of one of the most important monastic institutions in Milan. In comparison with today’s appearance, the Benedictine Refectory was marked in its length by Doric pilaster strips, while the vault decoration included the lunettes with illustrated tondos. Above the fresco representing “The Wedding Feast at Cana2, there was “David playing the harp next to two Seraphs”, and, along the walls, there were busts of the Apostles.
Architect Giovanni Muzio was the one who, in his broader plans of the recovery of the ancient monastery, restored the original importance of the ancient monks’ Refectory. In the Napoleonic era, as during World War I, the whole monastery had been used as military hospital and the Refectory had been divided into four floors to provide rooms for the recovery of the patients. Muzio’s intervention (1927-34), taking inspirations from some 1834 engravings by Cassina, brought this space back to its initial unity. Long gone the perimetral lunettes with the Apostles and the ribbed Doric pilaster strips, the architect inserted in their place some corbels as a foothold between the vault and the stonework.
Above them, he inserted metal tie-rods to secure the room’s stability. Keeping the same rhythm, he put some wider and lower windows in the lunette intervals on the longitudinal walls. In correspondence with the corbels, Muzio designed and produced a series of golden torch lamps, wrapped in a band.
In 1933, the architect put the “Wedding Feast at Cana” by Calisto Piazza back on the front wall of the room. In 1845, this work had been moved when the monastery had become a military hospital and it was now brought back from Palazzo di Brera where it had been recovered. The opposite wall is the entrance wall where Muzio decides to open three arcades resting on two columns and two pilaster strips, leading to an outdoor balcony. To grant better acoustics, he puts a high panelled wainscot running around the room acting also as a string course. Muzio’s intervention also included a gallery reserved for the authorities, which was then destroyed with the 1990s renovation, dividing the space into a parterre and terraces.
The stairs leading to the terraces were made of wood and led from the ground floor to the first floor, following the evolution of the vault. They were then modified in the 1960s, when they were replaced by a single staircase directly connected to the entrance. Between the parterre and the gallery, as a passageway, Muzio built a window-panelled corridor connecting the Aula Magna to the Garden of St. Catherine.
The most recent renovations by Luciano Formica allowed for a better appreciation of the whole original decorative complex unveiled by Muzio, recovering some Seraphs’ faces sited in the lunettes from which the Apostles had been removed.
The decorative scheme is set by a geometric order made of horizontal bands, triangular spaces and medallions (fi. 21-22). The medallions, smaller in the central area of the vault, become larger in the pendentives and are supported by bronze monochrome angels. Both the clypei and the triangles, into which the barrel vault with lunettes is divided, contain effigies of mythological animals with dual nature, such as bronze Tritons and Centaur-Dragons, learned reference to symbolic Christological meanings.
The inspiration behind such scheme was likely Pacifico Bizzozero, one of the erudite Abbots of the monastery and Prior for seven times in the first half of the 16th century. From a stylistic point of view, the decoration of the vault (fig. 23-24) dates back to 1520s or 1530s and follows the trend of grotesque decorations very popular after the rediscovery of the Domus Aurea in Rome.
On the front wall there is the masterpiece by Calisto Piazza, mentioned above. The wall fresco, made in 1545 by the painter from Lodi, depicts the “Wedding Feast at Cana”. In the fresco, the painter, assisted by the workshop, produced a work of vast figurative scope; he renovated many iconographic aspects of the scene and gave it theatrical seriousness through rigorous perspective and the depiction of “moti” (meaning both “movement” and “emotions”). The biggest innovation in Calisto’s composition is his attempt to create a “universal” language, which can be as communicative as possible. His work is part of the fresh wind typical of Spanish Milan, looking at the work of painters such as Titian, Paris Bordon, Moretto da Brescia and Gaudenzio Ferrari, and it took place at the same time as his decorations in the Southern Chapels in the Basilica of St. Ambrogio.
Fun fact
In the 16th century, the theme of the “Wedding Feast at Cana” was very popular in the monasteries in Veneto. This subject was influenced by St. Bernard’s thought. The banquet at Cana mirrors the heavenly banquet to which we have all been invited. Mary’s intercession is crucial to show Christ man’s needs, but it must be followed by man’s personal deeds, whose symbol is the filling of the six jars with water.
In depth
Calisto Piazza (Lodi, 1500-1561) was the leading figure of the Piazza 16th century dynasty of painters. Since 1523, he worked in Brescia with artists, such as Ugoni, Merici, Romanino and Moretto. His first works imply the knowledge of Ferrara’s art of the time. After 1538, he moved to Milan where he frescoed one room of the Castello Sforzesco; then, he worked in Novara and in the Abbey of Chiaravalle.